In questo periodo di grande confusione sociale, di “liquidità delle relazioni”, si parla sempre di più di modelli educativi e della necessità di garantire alla crescita dei piccoli equilibrio e sicurezza.
In questa prospettiva una guida autorevole, ma aperta al dialogo, si dimostra nella maggioranza dei casi vincente. Si tratta di trovare il giusto compromesso fra la dimensione della comprensione e dell’affettività e quella del controllo e del rispetto delle norme. In sintesi fra nurturing e monitoring.
Purtroppo però sempre più spesso si confonde la libertà pedagogica con il “lasciar fare”, con questo atteggiamento il mondo degli adulti fallisce la sua missione educativa e non ha il coraggio di ammetterlo. Abbiamo perso la capacità di dire “no” e di educare. Abbiamo dimenticato il valore fondamentale di questa sillaba e preferiamo sfuggire alle responsabilità, sottraendoci a rinunce, sacrifici e battaglie che una corretta scelta educativa comporta.
Il “no” è cruciale nello sviluppo dell’”io” del bambino è una forma di affermazione ed individuazione di se stessi. Non deve essere inteso come vuoto valore oppositivo, ma come necessario strumento educativo, che deve essere motivato e chiarito.
Il “no” in questo contesto ha una serie di valori fondamentali:
valore protettivo, di contenimento
valore di certezza (definisce con chiarezza ciò che è giusto o sbagliato)
valore orientativo (propone percorsi alternativi, apre nuove prospettive)
valore di limite
Regole e confini sono fondamentali strumenti di crescita che permettono al bimbo di sentirsi protetto.
I “no” dei genitori devono essere seguiti dai “no” dei figli, entrambi sono funzionali ad un processo di crescita sano, il bimbo e l’adolescente devono imparare ad affermare ed esprimere la propria individualità attraverso il confronto e la ribellione alle figure parentali.
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